Il vuoto politico interno riaccende lo spettro della guerra civile.

Il re saudita Abdallah ed il presidente Egiziano Hosni Mubarak si sono riuniti mercoledì a Charm el-Cheikh per discutere sulla crisi che imperversa nel Libano, che è senza presidente dal 24 novembre. Mentre le discussioni continuano fuori dal paese, le varie fazioni sono impegnate in una corsa per armarsi.

Appoggiati al balcone del primo piano di questa piccola costruzione, decorata dall’ insegna “Secure Plus„, una decina di giovani libanese in blue-jeans e tee-shirt scrutano nervosamente con lo sguardo i passanti. La tensione è evidente. “Circolate, non c’è nulla da vedere …„, ringhia uno di loro.

 

Le bandiere azzurre del partito di Saad Hariri, leader sunnita della maggioranza al parlamento tuttavia denuncia l’affiliazione politica di questa società di sorveglianza, posta nel cuore di Ras al-Nabah, un quartiere misto di Beirut, teatro di recenti scontri tra sciti e sunniti. “Stiamo in guardia. Abbiamo rafforzato i nostri effettivi. Nel caso di attacco della fazione rivale, non resteremo a braccia incrociate …„, finisce per riconoscere Saad Mansour, uno dei leader di Secure Plus, vicino alla tromba delle scale. A febbraio, questi sono i suoi chebab (“giovani„), dice, che hanno combattuto contro partigiani di Amal e di Hezbollah, partiti sciti dell’opposizione. Fino ad oggi, le discussioni con loro si limitavano a scontri verbali. Ma in un Libano senza presidente, i colpi di arma da fuoco sparati da entrambi le fazioni denunciano un problema profondo che riaccende oggi lo spettro della guerra civile: quello del riarmo delle milizie e del moltiplicarsi di società di sicurezza private che fungono da paravento ad alcuni partiti politici.

 

“Gioco pericoloso”

“Ogni fazione si arma in nome della legittima difesa. Lo Stato non ha più il monopolio della forza. C’è un gioco pericoloso„, critica Fady Fadel, esperto di questioni giuridiche di armamenti e professore all’università Antonina. Dalla fine del conflitto interno che oppose soprattutto musulmani e cristiani, dal 1975 al 1990, le linee di rottura si sono evolute. “Oggi ci preoccupa particolarmente, la concreta possibilità di un conflitto tra sunniti e sciti„, confida, sotto la copertura dell’ anonimato, un ufficiale dell’esercito, la cui presenza è stata vigorosamente rafforzata nella capitale.

 

In virtù degli accordi di Taëf del 1989, tutte le milizie libanesi, in linea di principio, sono state disarmate, ad eccezione di Hezbollah che afferma la necessità di tenere testa ad Israele, e che dispone di una importante forza militare. Ma dall’assassinio del primo ministro Rafic Hariri, nel 2005, e con la fine della tutela Siriana, contro cui è stato puntato il dito per questo attentato, sono sorte una miriade di società di sicurezza private. Ufficialmente, dovrebbero individuare le automobili piene di esplosivo. Ma alcune di esse, per lo più gestite da ex-generali sunniti dell’esercito, si sono sviluppate come contrappeso al Partito di Dio.

 

 “Il nostro incarico consiste nel sorvegliare il quartiere„, si giustifica Saad al-Mansour. In realtà, la loro missione è molto più vasta. “Tutto è iniziato con una formazione per la difesa civile di 600 giovani disoccupati che Saad Hariri voleva aiutare finanziariamente assumendoli come guardie. Ma con l’aumento delle domande di assunzione ed il peggioramento della sicurezza, si è deciso un anno e mezzo fa di creare la società Secure Plus„, dice. Allora furono realizzate due diverse sezioni: “La prima, incaricata della protezione degli alberghi e dei centri commerciali, dispone di guardie in uniforme. E la seconda, più informale, oggi conta  su un contingente di un migliaio di giovani volontari in abiti civili, distribuiti sul territorio, e pagati circa 300 dollari al mese per fare ronde, di giorno e di notte„, confida un membro di Secure Plus, che preferisce non dire il suo nome.

 

Aggiunge uno specialista della sicurezza, che rifiuta anch’esso di fornire il proprio nome per timore di rappresaglie, “almeno altre quattro società dello stesso tipo sono state create di recente„. La loro legalizzazione, dice, “è facilitata dal ministro dell’Interno, parente di Hariri„. Ma si agita: “queste forze di mobilizzazione rapida, create secondo colori settari, potrebbero da un giorno all’altro trasformarsi in milizie„. Tanto più che, secondo l’ufficiale dell’esercito, “alcune guardie vanno in Giordania per ricevere una formazione di tipo militare„.

 

“Non sarà facile trattenerli„

Prudente, Saad al-Mansour rifiuta di confermare questa informazione. I chebab, dice, non hanno il diritto di essere armati. Ma, riconosce, “so molto bene che hanno delle armi a casa. Ed in caso di scontri, sarà difficile trattenerli„. Infatti, dalla fine della guerra civile, numerosi sono i privati che hanno conservato le armi a casa. Dopo Fady Fadel, il blocco politico e la crescente instabilità ha anche spinto, nel corso di questi ultimi quattro mesi, “ad una corsa all’acquisto al mercato nero di armi leggere, come kalashnikov, revolver, M16 e granate„. Secondo l’ufficiale dell’esercito, “le armi provengono dal confine siriano, via mare e via aerea„. Il segno che la domanda è in aumento è che il loro prezzo è triplicato in tre mesi. “Un kalashnikov costa ormai tra gli 800 e i 1.200 dollari, lo stesso un revolver„, dice.

 

Secondo alcune fonti, Hezbollah, sostenuto da Iran e Siria, avrebbe rafforzato le esercitazioni nella valle della Bekaa. I suoi avversari l’accusano anche di formare i suoi alleati del CPL (la corrente patriottica libera del cristiano Michel Aoun). Di fronte a loro, le forze libanesi di Samir Geagea e la PSP di Joumblatt disporrebbero anch’esse, si dice, di campi militari. Un rilancio inquietante. “Ogni fazione vuole disporre del proprio esercito e della propria giustizia. Ma se scoppia la guerra, chi sarà in grado di tenere sotto controllo tutti questi giovani? „, si chiede Sami Zod,  presidente del sindacato dei professionisti della sicurezza.

 

Delphine Minori – Le Figaro – Traduzione Hurricane 53

 

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